HEAVY METAL

Milano, Grattacielo Pirelli - Dal 20 settembre al 14 ottobre 2012
Mostra personale a cura di Luca Beatrice - Catalogo Stradedarts

con il patrocinio del Consiglio della Regione Lombardia e Comune di Milano - Cultura



Walk this way
di Marco KayOne Mantovani

Prosegue con questa mostra il mio urlo silenzioso alla vita, nella continua tensione alla ricerca di una eccellenza estetica e di affermazione di me stesso, che sembra non trovar pace. Heavy Metal, una mostra a celebrazione della materia cara a molti artisti e fondamentale per chi come me, ha fatto del Graffiti Writing, vita, passione e lavoro. Heavy Metal dunque, come i vagoni della metropolitana, come i treni FS, come il rap metal di Run DMC e Aerosmith, come le borchie dei primi gruppi Funk. Una fotografia che nei miei lavori, con l'utilizzo di questa materia, riassume vortici e incroci di culture, avventure figlie della notte e tendenze che hanno formato la nostra quotidianità. Sintesi dell'evoluzione, esempio di globalizzazione e ricerca di se stessi, tutto in una comunione d'intenti e sogni. Un modo, ancora una volta, per proseguire nella mia ricerca ed evoluzione, senza dimenticare da dove vengo, misurandomi con un mondo dove urlare è diventato il mezzo per trovare ascolto. Troppe le cose da inventare, organizzare e creare, in un impeto di idee e voglia di fare, che non trova sufficiente spazio nel tempo che scorre e nella vita che cambia. Astrazione per rappresentare e comunicare, in questo trovo pace, fuggendo dalla realtà di cui sembra indispensabile parlare e che quotidianamente, con forza, invade la nostra vita. La nostra rivoluzione ha cambiato le strade, quelle strade un giorno cambieranno la gente. Io cammino per la mia strada!







HEAVY METAL: MUSICA PER ANALFABETI
CHE HANNO APPENA SCOPERTO UN LIBRO DI COSMOLOGIA

di Luca Beatrice


Senza voler ferire i romantici della tag, l'immaginario del writer, ormai, è un dolce ricordo. Il bomber dalla pelle scura, più volte olivastra, sicuramente non bianca, figlio bastardo della città che scivola a macchia d'olio in periferie di macerie e detriti, è già capitolo di storia. A dispetto di un pensiero comune, lo studio del fenomeno del graffitismo non sta solo nei saggi di sociologia e antropologia che hanno raccontato il non luogo metropolitano (Marc Augé) ma è inscritto nella storia dell'arte più di quanto sia dato pensare. Di più, si può dire che il "Writing" è stato avviluppato dalla critica ultra satura dell'art system come prefazione di un libro sulla generazione che oggi prende il nome di Street Art. Di quel passato illegale, ghettizzato, borderline ("di frontiera" come lo definì l'apripista del pensiero underground americano in Europa, Francesca Alinovi, negli anni 80) rimane solo l'estetica retrò di una Brooklyn senza WhatsApp, Twitter o FB, con il bisogno di gridare a un mondo allora più spietatamente reale i nomi prodotti dall'emarginazione causata da uno star system, borghese e sempre più elitario. L'inversione di marcia si è compiuta quando, come spesso capita per i movimenti che spingono dal basso, giornalisti, istituzioni e, in generale, i potenti della comunicazione massificata, disarmati dall'espandersi di una manifestazione tanto spontanea quanto inarginabile, hanno preferito inglobarla nel loro merchandising culturale e politico. Dalle leggi anti-graffiti si è passati ai festival di arte urbana, dalle telecamere a circuito chiuso seminate negli angoli bui delle città - binari delle stazioni e monumenti storici in primis - si è approdati ai contest legalizzati di bombing e murales. Le amministrazioni più illuminate hanno capito che il problema dell'invasione di scritte "imbrattamuri" non andava combattuto ma conquistato. Si è intravisto un talento che, nella maggior parte dei casi, includeva veri e propri geni dello stile. I writers, dal canto loro, hanno costruito, dai quei lontani anni '70 a oggi, un approccio sempre più "colto" alla loro necessità presenzialista muovendosi dal grigiore dell'anonimato. A ben vedere, la costola della Street Art è uno dei mercati più in voga nell'anno della crisi culturale ed economica. Aprono gallerie specializzate nelle capitali dell'arte italiana - Torino, Milano, Bologna, Roma – mentre chiudono i battenti quelle decretate vecchie da una nuova schiera di consumatori della creatività. Meno addomesticati di quanto si pensi, i nuovi artisti di strada hanno trovato il terreno fertile per dichiararsi, dopo anni passati nelle retrovie. Depongono le armi della guerriglia, per vestire gli abiti delle star. I riflettori sono puntati su di loro.
Premesse fatte, KayOne vince la medaglia d'oro d'artista, con tanto di marchio di garanzia DOC e DOP, spolverando la pittura contemporanea, oggetto di una critica spietata per la sua incapacità di rinnovarsi, con la freschezza che solo un passato – e presente – da attivista griffittaro gli può garantire. Senza il rischio di confusioni di generi. La sua storia è a tutti gli effetti quella di un virtuoso del medium – lo spray – e dello stile - il lettering – come già detto da altre critiche spese a suo favore, non diverso da un approccio strettamente main stream di derivazione dall'Action Painting, l'Espressionismo Astratto e la Pop Art. Sia che provenga dal metallo di un vagone usato come tela, sia che la sua tela sia una porzione di quello stesso vagone portato dentro i confini di una galleria, i suoi lavori sono dichiaratamente "opere d'arte". Lo erano quando si muoveva per primo tra i binari delle stazioni e lo sono oggi che espone in sedi istituzionali. A cambiare è infatti il sistema e le sue leggi e insieme un'educazione visiva votata a riconoscere "l'arte" in tutte le manifestazioni pubbliche a essa connesse, graffitismo compreso. La Street Art porta una ventata di novità nell'universo un po' arrugginito da concettualismi egoriferiti delle nuove schiere di accademici; è sexy, appetibile, libera e graffiante.



Se risulta difficile, quasi impossibile, far corrispondere un pensiero critico che accomuni giovani artisti emergenti, è più facile individuare nelle crew urbane, nelle loro sperimentazioni sempre più audaci di mezzi e strumenti in atto sulle pareti delle città, filoni e scuole. Ai padri putativi del free style di KayOne – Taki 83, Julio 204, Cat 161, Conrbread – fino ai maestri del puppets, dell'icona, del colore – Rammellzee, Crash, A One, Futura 2000, Obey – e i veri pionieri che hanno cucito il collezionismo altolocato con l'underground più spinto - Keith Haring, Jean-Michel Basquiat - si aggiunge la contaminazione con le avanguardie artistiche europee. Dalla prima apertura al movimento newyorkese (di cui i graffitari sopra citati facevano parte) nell'edizione del 1982 di Documenta a Kassel, si contano una serie prolifica di esperimenti che spalancano i battenti a nuove file di creativi. La storia della Street Art è fresca, e piace proprio perché è recente. Con soli trent'anni di vita, è come un adulto che, compiuta la sua maturità ormonale, impara a gestirne le potenzialità. Tutti dietro a volerne godere i frutti. In Italia, sono andate formandosi vere e proprie correnti e scuole con luoghi di appartenenza dichiarati e codici stilistici di riconoscimento sempre più sofisticati. Calligrafia, pittura in senso stretto, illustrazione, stencil, moda, fotografia, installazione e videoarte. Si sconfina nella tipografia, nel design e nella grafica. La convenzione dell'advertising si arricchisce dell'illegalità della prassi. Nell'era post graffiti, KayOne si è guadagnato un posto d'onore. È un "metallo duro". Ha mangiato l'asfalto, si è rotto le ossa e continua ad avere le mani sporche di colore. Tra i primi a sperimentare l'arte calligrafica urbana nella Milano postmodernista degli anni '80, ha conquistato anche il Pirellone portando i residui urbani "rubati" dalla strada all'interno dell'Olimpo dell'arte. Porzione di pelle metropolitana, nella compostezza del formato quadrato scelto, testimoniano la lunga strada percorsa dall'artista, bomboletta in mano e un sogno nel cassetto. I suoi interventi su metalli di varia natura assomigliano all'estetica rivisitata negli anni '00 da molti artisti di stampo costruttivista; penso alle esplosione di colore dell'artista tedesca Katharina Grosse che invadono i muri di gallerie e musei trovando nell'aerografo la bacchetta magica per mixare alchemiche composizioni di cromatismi, sfumature e geometrie. Fedele al lettering di strada, KayOne non risparmia i supporti con inserti di font sparpagliati e poi investiti dallo spruzzo. Propulsione a getto d'impulso, emotivo più che cognitivo, forte di un retaggio illecito che imponeva due parole d'ordine: precisione e velocità. Incappucciati nella loro felpe scure, museruola o fazzoletto antigas a garantire l'anonimato in una tag graffiata di fretta sul muro, i writers ripetevano nei contesti urbani un segno da amanuense ricercato con fame di espressione su un pezzo di carta, a tavolino, e studiato per mesi e mesi. Le scivolate di colore, tracce di luce su fondi compatti stratificati da sfumature e campiture piene, le linee sgocciolate, i serpentini vortici grafici come cosmici movimenti circolari impazziti, ricordano le sgommate di una moto che stride sull'asfalto. C'è l'estetica dell'action, del gesto improvvisato, performativo, di cui l'artista è attore e regista. Pollock e Rauschenberg hanno iniziato un modello declinato oggi in funamboliche interpretazioni sui generis. Si pensi ai virtuosismi intrapresi da Aaron Young, devoto ai motori pesanti, che traccia partiture di linee su enormi superfici calpestabili di alluminio dirigendo stuntman in sella a moto di alta cilindrata. Sgommate in senso stretto che percorrono il metallo e ne lasciano una traccia massiccia. Sono riff impazziti, sulle note del rombo di un'Harley, tanto rumore e via di corsa, perfetta cornice del set di un b-boy. Anche KayOne interpreta il drip painting della East Coast. Conosce l'eccezionalità del gesto acquisita nella rapidità del mordi e fuggi del militante urbano. La riporta nel formato da esposizione senza ridurne l'impatto visivo. Su spruzzi di acrilici extrafini Liquitex, stencil e collage, fa sgocciolare il pennello commutando l'imperfezione in equilibrio. Non c'è la leziosità dell'olio, né l'accademismo della sfumatura da manuale. È la scuola della bomboletta a gratificare la tecnica per la sua innata spontaneità mediatica. Bando al manierismo, KayOne insegna una prassi rigenerante nell'approccio alla pittura. È writer e pittore, il bad-boy di ieri è il best-boy di oggi. Scrivere sui ferri della città è il suo sport preferito (con o meno travestimento) e poco importa che si trovino dentro o fuori una galleria. L'importante è che di Street Art si tratti.









Un album dei ricordi sfogliato senza malinconia.
di Giovanni Balletta

Ad essere subito sinceri da Marco KayOne Mantovani non ci aspettavamo niente di tutto quello con cui abbiamo dovuto poi fare i conti. Del resto ne è passata di acqua sotto i ponti e per molti di noi addirittura una eternità da quando KayOne cedeva nelle notti milanesi (e non solo), con il suo aspetto da bravo ragazzo, al suo delirio creativo. Nel bene e nel male, che piaccia o meno, Marco KayOne Mantovani è tra coloro i quali sono riusciti a dare la giusta connotazione-collocazione artistica ai graffiti che anche grazie alla sua opera sono divenuti l'arte del graffito. Il lavoro "galleristico" di KayOne è da sempre certosino e paziente, condizione che stride con il concetto stesso di "writer" da sempre abituato ad operare in rapidità, silenziosità e clandestinità, è una sorta di abito elegante che l'artista si cuce addosso, lo stesso artista che circa 20 anni fa comunicava "furtivamente" in quella Milano che era la capitale del glamour, della moda, del costume, in quegli scampoli "Milano da Bere" che ha deluso molti e soddisfatto pochi. Ad uno sguardo superficiale sembra che nel percorso di KayOne, nei tanti anni di attività, nulla sia mutato e che tutto sia rimasto uguale a se stesso. Eppure ad un "guardare" più attento pare che quegli elementi che dapprima sembravano restare in ombra, ora si impongano in rocambolesche gettate semantiche sui tratti che KayOne impone prepotentemente alla tela e agli occhi dello spettatore. Va comunque detto che non si tratta di narcisismo, di bieco protagonismo: KayOne non simula se stesso, del resto non sarebbe più in grado di farlo, si voglia per le esperienze artistico-lavorative, per il contesto sociale assai diverso da quello di 20 anni fa, o si voglia semplicemente perchè si cresce e non solo anagraficamente. Attraverso il suo lavoro artistico Marco KayOne Mantovani delinea astrattamente il modus vivendi della società contemporanea pronto a lasciare un segno profondo almeno quanto una cicatrice indelebile perchè oggi è difficile mostrare ciò che non si vede o peggio ancora ciò che non si vuole vedere. Nelle opere di KayOne tutto ciò che quotidianamente neghiamo alla nostra vista è rappresentato nei tratti chiari e luminosi, nelle forme sinuose a volte aspre, tra i baratri e le alture che caratterizzano la geologia terrestre così come l'animo umano. Il quadro c'è ed è sempre chiaro, sporco quanto basta, essenziale, plastico, ruvido, purezze celate e velatamente concesse il tutto dominato dalla luce perchè il suo messaggio sembra essere forte al punto giusto per capirne la sue essenza in ciò che davvero è: un capolavoro di comunicazione. E della comunicazione ha tutte le moderne distorsioni quelle grunge, quella sintetica e perchè no quella viral. Non aspettatevi di trovare nient'altro nelle opere di Marco KayOne Mantovani. Chiudo con una citazione canora, che sintetizza in maniera ideale l'opera di KayOne, di Charles Aznavour, il Frank Sinatra francese, che nella sua "L'Istrione" canta: «Perdonatemi se con nessuno di voi / non ho niente in comune: / io sono un istrione a cui la scena dà / la giusta dimensione.



Non deve stupire l’abilità di KayOne di coniugare la suggestione della strada alle avanguardie e ai movimenti più innovativi del Novecento, dal momento che proprio questi gruppi di sperimentatori si erano posti per primi il problema di far confluire - anche in modo diretto - la vita nell’arte. La forza dei quadri di KayOne sta proprio nella capacità di attirare chi guarda in un universo di sensazioni, emozioni, significati, la cui energia dirompente evoca la strada senza bisogno di rappresentarla. Il rapporto dell’artista con la materia appare viscerale, teso a sottolineare la plasticità della pittura, le sue qualità dinamiche e tattili, oltre che visive, con l’obiettivo di trovare una nuova dimensione significante attraverso composizioni polimateriche e associazioni insolite. In questo modo, l’arte di KayOne sembra essere in grado di dialogare con la realtà senza mediazioni, grazie a una pittura corposa e densa in cui si mescolano vernici, sabbie, polveri d’asfalto, spray, pigmenti, smalti, e poi carta, legno, metallo… tecniche e materiali ibridi, dal significato complesso e stratificato, che si distinguono per un riferimento istintivo al contesto urbano in grado di trascendere e ampliare la dimensione pittorica tradizionale. Nelle opere di KayOne il prelievo di realtà è dunque minimo, ma risulta amplificato dalla forte componente gestuale e materica della sua pittura, che riesce a trasmettere quel senso di “ruvidezza” che viene direttamente dal contatto con la strada. Le superfici non sono mai levigate, ma appaiono come esito di un’operazione di scavo nelle emozioni, che si traduce in intensa gestualità - emotiva e controllata al tempo stesso - grazie alla quale segno e colore acquistano incisività. Energia e spontaneità sono naturalmente elementi derivati dall’esperienza di writer, insieme alla rapidità, che sulla strada è data dalla velocità dell’esecuzione imposta dalla situazione, mentre sulla tela si concretizza in modo più meditato, nelle linee dinamiche che si inseguono, si incrociano, si sovrappongono, si accendono in punti luminosi. Il controllo dell’equilibrio e delle sovrapposizioni di segni e colori è particolarmente curato, l’elemento vorticoso è parte di un’operazione quasi ipnotica nei confronti della realtà, che sembra lasciare tracce nel colore fresco, pronto a catturare l’istante - come quando accade di calpestare per caso le linee bianche appena rifatte sull’asfalto.







KayOne, la Street Art di un Writer.
di Stefano D'Antino

NTremila anni fa, in Grecia, gli antenati dei contemporanei Mc's improvvisavano, nei porticati cittadini dei personaggi facoltosi, versi cantati che ben riuscivano grazie a "formule" ricorrenti, ripetizioni, assonanze. Ne uscivano composizioni estemporanee sugli eroi e le loro gesta: l'uomo a quell'epoca di assenza tecnologica dominava le città, addirittura le fondava! Oggi con il progresso scientifico, l'uomo, pur ergendosi materialmente sulla città, dominandola grazie al volo tecnologico con l'areoplano, ne viene sovrastato: dal rumore assordante; così come dallo smog, dall'invadenza visiva dei led elettronici e pubblicitari. L'uomo sente la sua individualità alienata! Compaiono i Writer, che urlano il proprio nome scrivendolo sui muri, rivendicando il diritto e l'individualità dell'uomo sull'ambiente fagocitante che lo circonda. Così come facevano quegli Aedi della grecia arcaica: difatti a questi nomi che già sono divenuti espressioni artistiche, non a caso si affiancano gli mc's, i quali, cantano storie sull'uomo contemporaneo che domina la sua metropoli; proprio come i lori antenati, tre millenni prima. Ne nasce una espressione artistica che accomuna varie arti, è questo il rinascimento contemporaneo! Gli scrittori continuano ad aggredire muri cittadini e treni, con le loro gestualità energiche ed ispirate racchiuse nelle tags. Lo stile progredisce, si abbellisce, di pari passo con le "liriche" degli Mc's e i "breaking" dei b-boy; tutto grazie all'ispirazione, ma l'ispirazione è dettata dalla sfida dell'illegalità, del open-space urbano, del "dipingilo e fuggi!". KayOne raccoglie l'eredità di quei writer, ma compie un ulteriore passo.



Pur restando fedele a quella energia ispirante da scagliare sui muri, nelle tele canta la città come essere ormai vivente, autonomo. Nei colori informali, ora esplosi, ora lisciati e "pettinati" sul mobile supporto; rinvigoriti da un'onda sovrapposta, o da un sottile filamento dissonante, corrucato come una scarica elettromagnetica, scorgiamo le urla di quell'essere vivente che si è svegliato: la metropoli! Un blu invasivo, una turbina che esplode... È talmente assordante da non essere più percepita con l'orecchio, ma da un colore informe che KayOne ha improgionato sulla tela. I gialli sono luci notturne, abbaglianti, le filettature chiare, sono energie elettromagnetiche che accendono i moderni terminali comunicativi. Eppure KayOne non vuole tradire i suoi "progenitori", vuole anche ricordarci che se ormai la città vive da sola, l'uomo può sempre dominarla. Per questo, per non tradire, dopo la tela ha sempre nostalgia di quel muro da decorare, magari nottetempo... Vedi, anche sulla tela, quei "caratteri mobili" che scivolano sul quadro, non per uscirne, anche se sembra, in realtà vi entrano a forza e galleggiano sui "movimenti" sensoriali sottostanti, come a dire: "veniamo comunque prima noi! da sempre!". KayOne ci vuole dire: "si , mi aggiorno..!"; "ormai la città vive da sola, e io ho imprigionato il suo nuovo linguaggio"; "Eppure io vengo dal writing, e questi caratteri scorrevoli sui treni, me li porto dietro! L'uomo che domina la città. La città che "scappa di mano" all'uomo. Poi i writer, gli mc's e il riaffermarsi dell'uomo. In fine l'uomo riaffermatosi, ma anche la città che vive... tutto questo è KayOne, Aedo più moderno che ci sia! questo è il suo concetto di Street Art!











Catalogo Heavy Metal
Curatore: Luca Beatrice - Edito da: Stradedarts - www.stradedarts.it
Prezzo: Euro 25,00





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