MURALIA

Benevento, Palazzo Paolo V26 / 27 / 28 novembre 2007
Mostra collettiva a cura di Vittorio Sgarbi - Catalogo Torcular

KayOne viene invitato all'evento Muralia. Una innovativa e coraggiosa iniziativa culturale del Comune di Benevento, sotto la direzione artistica di Vittorio Sgarbi, che rappresenta un ulteriore passo della Street Art verso il pieno riconoscimento artistico-culturale. La manifestazione, articolata su 3 anni, prevede la presenza, nella città campana, di 10 "street artists" italiani già presenti alla mostra tenutasi al PAC di Milano la scorsa primavera. Gli artisti, a Benevento il 26-27 e 28 novembre, torneranno al loro primitivo elemento: la strada e realizzeranno le loro opere sui muri che sorgono lungo via Vittime di Nassirya. Alla realizzazione delle opere sarà collegato un workshop: i cittadini interessati potranno infatti dialogare con gli artisti e apprendere tecniche di realizzazione e quant'altro collegato. Nella prestigiosa, antica sede di Palazzo Paolo V sarà poi realizzata una mostra delle opere dei dieci artisti; opere in parte già esposte al PAC, in parte nuove. Un catalogo realizzato da Torcular coronerà l'avvenimento.







"Muralia ha portato in città un grande fermento artistico, proiettando finalmente la nostra realtà fuori dai confini provinciali, attirando l'interesse di molte realtà nazionali ed internazionali".
Questo, in sintesi, il commento dell'assessore alla Cultura del Comune di Benevento, Raffaele Del Vecchio, rilasciato all'incontro coi giornalisti nel corso della visita alle opere in via di realizzazione sui muri di via Vittime di Nassiryia. Dieci gli artisti impegnati nella manifestazione: Rae Martini, Filippo Minelli, KayOne, Verbo, Wany, Leo, Francesco Pogliaghi, Led, Pho, Cano.




Solaris - 200X200 - Tecnica mista su tela - 2007





STREET ART
di Vittorio Sgarbi

Non mi ero mai occupato, in tanti anni di attività, di graffiti e di Street Art perché pensavo si trattasse di un fenomeno di costume più che di arte. Arrivando a Milano come assessore, quindi in quanto politico e non critico d’arte, invitato da una giovane giornalista sono andato per la prima volta a vedere il Leoncavallo. Non nella sede storica, bensì in quella nuova, sempre in un centro sociale di occupazione. E in via Watteau (che è un famoso pittore francese) e via Lucini (che è un poeta futurista) ho visto, come a Città del Messico, murali meravigliosi. Grazie a queste pitture, realizzate nei primi anni Novanta, quei brutti grattacieli, quei lunghi muri abbandonati diventavano improvvisamente vivi. E quella malinconia da quadri di Sironi, che rappresenta la periferia come luogo di solitudine e di abbandono, era improvvisamente scomparsa. Non potevo negare che questi dipinti riuscissero a dare un volto nuovo a quel quartiere altrimenti orribile; orribile a causa della speculazione edilizia, magari autorizzata, ma molto più deturpante di quanto non fossero deturpanti i dipinti stessi. A colpirmi è stata poi la grande dimensione. Se si pensa all’arte del Novecento – quella per intenderci di De Chirico, di Morandi - si pensa a quadri piccoli, realizzati in studio quasi in segreto, con la paura del mondo, come poesie scritte di nascosto, come preghiere. L’arte del Novecento è soprattutto arte di cavalletto, che quando vuole diventare democratica commissiona a importanti pittori, come Rivera e Siqueiros in Messico, grandi murali pubblici. In Italia dopo il fascismo non c’è più stata una pittura di grandi dimensioni se non questa, che nasce fuori dalle istituzioni. La caratteristica fondamentale della Street Art è lo spazio urbano occupato dalla pittura.



Che a volte agisce con azioni sbagliate - le scritte senza nessun significato, quindi puri sfregi, su edifici storici - ma che altre volte interviene su muri di zone moderne o degradate con racconti, storie, immagini o scritture di notevole fantasia; un contributo spesso destinato non a peggiorare, ma a migliore il volto della città. Bisogna sapere distinguere tra un intervento di qualità e uno senza. I graffiti sono un’espressione immediata e diretta in rapporto con la vita. I primi segni che l’uomo ha lasciato nell’arte sono proprio i graffiti delle grotte di Lascaux in Francia, fatti da uomini probabilmente giovani che hanno dipinto sulle pareti di una caverna la vita di quel momento, cioè la caccia al bisonte, la caccia agli animali. A distanza di diecimila anni altri giovani hanno raccontato qualche cosa di sé sul muro di una parte di città spesso non bella, che improvvisamente, però, hanno trasformato in una festa. La Street Art non ha riferimenti a un luogo, è arte metropolitana figlia della società industriale che è uguale dappertutto.



Dragone - 250X100 - Tecnica mista su tela - 2007



Le periferie sono le stesse ovunque, a Benevento come a Catania o ad Avellino. Il territorio della Street Art non ha una identità territoriale perché legata a muri insignificanti e il suo intervento dà senso a un luogo quanto più quel luogo non ha un senso proprio. Ma è qui che nasce l’equivoco e si innesta la polemica: il graffito è o non è reato. Se un giovane deturpa un monumento il reato c’è. Se, però, dipinge su un muro, bisogna sforzarsi di capire se quel gesto può dare maggiore significato a quel muro. Il graffito insomma non deve occupare spazi i cui valori estetici siano già definiti e consacrati, ma può dare significato a spazi privi di questi valori. Ovvero le periferie urbane. Se Fontana, pittore famoso per i tagli, invece di tele bianche avesse deciso di solcare con un coltello un Caravaggio, cioè un’opera compiuta, avrebbe commesso un arbitrio, uno sfregio. Quando Duchamp ha messo i baffi alla Gioconda lo ha fatto su una riproduzione e non sull’originale. Ecco la differenza tra arte e reato. Allo stesso modo, un graffito su un edificio storico è vandalismo, su un muro di periferia no. Il problema, però, è ancora irrisolto e genera paradossi che sono la prova di una contraddizione profonda. Un esempio. Milano, che se da un lato ha autorizzato la mostra sulla Street Art al PAC (il Padiglione di Arte Contemporanea), dall’altro ha promosso la campagna “I lav Milan” (dove I lav sta per Io lavo) a favore della pulizia dei muri. In soli due mesi la mostra sulla Street Art è stata visitata da 60 mila persone, 60 mila giovani che improvvisamente hanno sentito quanto l’arte fosse un fatto che li riguardasse. Gli uomini non possono vivere senza l’arte e i giovani non possono vivere senza esprimersi. La creatività ha bisogno di uno sfogo e quindi di spazi che questo sfogo possano accogliere. La Street Art è un fenomeno che ha un carattere di necessità: esprimersi. Chi ha lasciato una pittura sul muro si è preso quello spazio conquistandolo sulla scia di una spinta interiore, affermandosi con un atto di natura altamente democratica. Perché sulla strada non ci sono maestri e ognuno è libero di dire ciò che detta l’istinto. Muralia, come è stata battezzata l’operazione di Benevento, nell’avere trovato un luogo deputato all’espressione si propone come una sorta di concordato tra istituzioni e giovani. E il muro di via Vittime di Nassirya, trasformato da artisti come KayOne e Cano, Filippo Minelli e Wany, Led e Pho, Leo e Verbo, Francesco Pogliaghi e Rae Martini, è il luogo che mette d’accordo autorità, creatività e mercato. E questa è una sfida ancora diversa. Il mercato stacca questi giovani dal muro - una no one’s land, una terra di nessuno - per riportarli entro un circuito di mercato secondo il principio per cui anche la protesta deve essere canalizzata in un ambito che dia senso e compimento a ciò che è stato fatto. Trasferendo questa protesta dal muro alla tela, il mercato le attribuisce valori estetici condivisi. È questo meccanismo ad avere reso celebri e ricchi Keith Haring e Basquiat, i quali hanno capito che avrebbero potuto fare su tela le stesse cose che facevano nei tunnel e sui vagoni della metropolitana di New York.



A destra: Deep Blu - 50X80 - 2007 - A sinistra: Onore e gloria - 60X80 - 2008









Catalogo Muralia
Curatore: Vittorio Sgarbi - Edito da: Torcular




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